Ad ogni sorso di Ponte di Toi mi scopro a rincorrere con la mente quanto fatto in vigna in questi anni assieme alle mie “Signorine”. Un cammino che mi ha permesso di vivere la loro “infanzia” quando, una volta messe a dimora, per me erano le mie “Barbabelle” , le barbatelle più belle del mondo. “Barbabelle” che mi hanno permesso di sognare facendomi dimenticare le fatiche e gli affanni della pulizia del vigneto da una montagna di sassi, tolti per poter dar loro modo di occupare gli spazi necessari. Sorseggiando ricordo la prima timida uva frutto del secondo anno dall’ impianto, quegli acini di una dolcezza fondente che per la prima volta ho messo alla prova in cantina. Del frutto delle mie “Signorine” sono stato affascinato da subito, nel bicchiere oggi leggo un giallo oro antico con riflessi aranciati, che segnano la mia mano in cantina, alla vista il mio cuore vede l’intensità della forza del frutto nascosta da quella velatura rispettosa frutto dell’assenza di interventi a togliere. Avvicinando il naso al bicchiere ne percepisco la parte aromatica e vivo sulle note balsamiche di erbe officinali, di verdure cotte e di quel intrigante aroma di piante spontanee sorrette da un sentore agrumato. Mi piace l’impatto al palato, la sapidità in precario equilibrio con l’acidità, un’altalena tra la vigoria del frutto e il giocare armonico delle glicerine. Certo ne sono innamorato, sono innamorato della sua beva, beva nella cui semplicità ritrovo sfumature complesse che, ancor oggi, mi sorprendono per eleganza e potenza. Ogni scarrafone è bello ‘a mamma soia
questa una decsrizione a modo mio della mia realtà: Un solo ettaro di terreno a meno di 15 metri di altezza sul livello del mare. Solo piante di Vermentino messe a dimora nel 2005 .Meno di due kg di penta idrato di rame e poco zolfo bagnabile i trattamenti effettuati all’anno. Sovescio, cippato e compost autoprodotti sono l’alimento con cui nutro il terreno dove risiedono le mie “signorine”. Lombrichi, allevati a tale scopo, i miei operatori nel sottosuolo. Raccolte le uve diraspo e vado in vasca, questo è l’unico momento dove uso un minimo di solfiti. Dopo cinque giorni di permanenza sulle bucce svino, pigio le bucce e rimetto tutto assieme a continuare la fermentazione. Due soli travasi senza alcuna protezione prima dell’imbottigliamento. Non eseguo nessuna filtrazione o chiarifica. Perseguo l’obiettivo di riuscire a fare un buon vino, elegante, minerale, dai sentori varietali specifici del Vermentino per il tramite del rispetto del suolo e delle mie viti.
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