«Golpe sventato con Facetime», «Rivoluzione social», «Erdogan “salvato” dalla tecnologia che vuole spegnere».
Nelle ore immediatamente successive al tentativo di golpe fallito, mentre la Turchia veniva investita dalla repressione vendicativa di Erdogan a noi toccava subire l’onda del tecno-entusiasmo di coloro che, avendo poca dimestichezza con la Rete e i suoi strumenti – per non dire con i movimenti sociali e le rivoluzioni – tendono a confondere il mezzo con il messaggio. E no, McLuhan non c’entra nulla.
Già nel 2011, secondo una vulgata comune e, per fortuna, ora poco maggioritaria, abbiamo assistito a Facebook e Twitter Revolution nei paesi arabi del Maghreb. Come se fossero bastati dei tweetstorm e un bel picbadge sulla foto profilo di Facebook a far fuggire Ben Ali e Mubarak.
All’indomani del tentato colpo di stato in Turchia, quindi, scopriamo che è uno strumento utilizzato da Erdogan nelle ore caotiche in cui parte dell’esercito prendeva il controllo dei centri nevralgici del paese ad aver «sventato il golpe». A volte c’è da stupirsi di quanto sangue inutile scorra, quando basterebbe aprire la giusta app.
Erdogan, dicevamo, ha chiamato alla mobilitazione utilizzando Facetime, un’applicazione che consente a due dispositivi Apple di comunicare tra loro con videochiamate. E lo ha fatto chiamando un’emittente televisiva, la CNN Turchia (sì, quella stessa emittente che, mentre le televisioni del mondo intero trasmettevano la violenta repressione della protesta di Gezi Park nel 2013 mandava in onda un documentario sui pinguini). Perché alla fine l’agenda viene dettata ancora e sempre dal broadcast ed è alla televisione – broadcast per eccellenza – che si deve tornare per avere un’effettiva efficacia “nel mondo reale”.
E del resto non poteva che essere così: per alcune ore i principali social network risultavano irraggiungibili dalla Turchia se non utilizzando virtual private network (Vpn) o cambiando i server Dns, cosa che i turchi sono ormai abituati a fare, dato che spegnere i social network è una delle attività preferite di Erdogan, da tempo.
Ma la mobilitazione veniva chiamata anche dai muezzin sui minareti e da svariate altre fonti che più pertinentemente possono essere associate a dei social network rispetto a una telefonata a un’emittente televisiva.
Non neghiamo l’importanza dell’uso degli strumenti in termini di racconto degli eventi, in tempo reale e non, ma sarebbe utile mantenere un approccio laico e critico: aiuta a comprendere meglio la realtà che osserviamo e rende un servizio migliore agli strumenti che quotidianamente utilizziamo e dei quali vogliamo sottolineare gli aspetti positivi.