Da tematica altermondista, l’istanza “green” è diventata priorità di ogni agenda setting mondiale. In un’epoca di grande complessità si fanno sempre più fitte ed intellegibili le relazioni che tengono insieme la catena ambiente-agricoltura-alimentazione-salute-economia e le reti di connessione vedono al centro delle responsabilità gli stili di consumo alimentare dei cittadini occidentali.
Gli studi sono chiari: quando abbiamo abbandonato la nostra alimentazione tradizionale a favore di alimenti moderni trasformati ad alto contenuto zucchero, di farine ed oli vegetali raffinati, abbiamo cominciato ad ammalarci. Naturalmente, sono molte le cause che concorrono a questi problemi di salute ma certamente i cambiamenti nella dieta sono il fattore più importante.
Ma a chi conviene tutto questo? Siamo sicuri che si tratti di processi di democratizzazione alimentare? In tempo di crisi possiamo ancora permetterci costi così elevati derivanti da quello che è (o dovrebbe essere) uno dei nostri bisogni primari.
Con tanto sano pragmatismo e senso critico bisogna capire se, questo che conosciamo, sia davvero l’unico modello di sviluppo o se non sia il momento di mettere in campo la stessa discontinuità innovativa che sta permeando altri comparti, imparando nuovi approcci resilienti dalla cultura della rete e del Do It Yourself.
Oggi si parla tanto di social innovation, ovvero di una forma organizzativa che mette al centro le comunità e che prevede soggetti che siano economicamente, ambientalmente e socialmente sostenibili. Ma forse è il momento di iniziare a lavorare ad una “rural social innovation” che partendo dalle scelte personali basilari, ovvero dai consumi che ciascuno sceglie di fare, riesca a creare la consapevolezza che dietro le nostre scelte alimentari si mette in moto un meccanismo complesso che determina l’andamento di ambiente, agricoltura, salute ed economia .
Il report World Resources Report: Creating a Sustainable Food Future, prodotto da World Resources Institute (WRI), United Nations Development Programme (UNDP) e United Nations Environment Programme (UNEP), rileva che nel 2050 la popolazione mondiale sarà di 9,6 miliardi di persone e che per dare la possibilità di accesso al cibo a tutti avremo bisogno di aumentare del 70% la produzione di cibo.
Nei prossimi decenni l’umanità affronterà una grande sfida, quella della sicurezza alimentare, che deve essere superata in una modalità che non preveda l’impoverimento delle zone marginali del globo, che limiti la distruzione delle foreste e che riduca le emissioni di gas serra prodotti dal comparto agricolo.
Nel report si legge che «l’incremento delle colture e l’aumento della produttività del bestiame sui terreni agricoli esistenti è fondamentale per salvare le foreste e ridurre le emissioni di gas serra, ma è improbabile ridurre il gap alimentare attraverso il solo aumento del rendimento». Il rapporto tra cibo e ambiente è ormai il tema che maggiormente intessa le comunità scientifiche e politiche mondiali, i raccolti dovrebbero aumentare del 32% in più nei prossimi quattro decenni. Per fortuna sono disponibili diverse soluzioni alternative per raggiungere un futuro sostenibile dell’alimentazione. Il report elenca infatti diverse soluzioni per colmare il divario alimentare, riducendo i consumi, come ad esempio:
Ridurre i rifiuti alimentari
Il 25% delle calorie da alimenti coltivati per il consumo umano viene attualmente perduto durante il trasporto o sprecato al momento dell’acquisto. Negli Stati Uniti e in Europa, oltre la metà della produzione di rifiuti avviene nelle nostre cucine. I cereali rappresentano quasi i due terzi dei rifiuti.
Cambiare dieta
La crescente domanda di terreni da pascolo ha causato più della metà di tutta l’espansione agricola dal 1960 ad oggi, e il consumo di carne bovina è destinato a crescere dal 80 per cento tra il 2006 e il 2050. Ridurre l’eccessiva domanda di prodotti di origine animale, in particolare dai paesi sviluppati, potrebbe risparmiare centinaia di milioni di ettari di foreste che altrimenti verrebbero tagliati per il pascolo.
Migliorare la gestione del suolo e dell’acqua.
Gli agricoltori possono aumentare la resa delle colture su terreni agricoli esistenti mediante l’attuazione di una serie di pratiche di gestione del suolo e delle acque come ad esempio la agrosilvicoltura e la raccolta delle acque piovane. Tali pratiche, per esempio, hanno raddoppiato le rese di mais e altri cereali in Burkina Faso, Niger e Zambia negli ultimi dieci anni.
Utilizzare terreni degradati
Nel mondo esistono una gran quantità di terreni “degradati, a basse emissioni di carbonio“, aree dove la vegetazione originaria è stata eliminata tempo fa e che ora hanno livelli molto bassi di carbonio e di biodiversità. Qualsiasi futura espansione in zona agricola dovrebbe concentrarsi sul ripristino queste terre degradate in produttività, con il consenso delle comunità locali.
Evitare lo spostamento di terreni agricoli da un luogo ad un altro
Nuovi dati satellitari mostrano che anche quando la superficie agricola totale in una regione rimane stabile o diminuisce, la produzione agricola si sposta nella stessa regione causando milioni di ettari di deforestazione.
Non lasciare nessun agricoltore indietro
Le lacune di rendimento, la differenza tra i rendimenti effettivi di una fattoria e dei suoi potenziali rendimenti, esistono ancora in molte zone del globo. Concentrandosi sul portare gli agricoltori a livelli di produzione agricola maggiormente efficienti aiuterà a colmare le lacune di rendimento e migliorare le condizioni di vita dei piccoli agricoltori. Un passo importante sarà quello di garantire accesso alle stesse risorse, come fertilizzanti, semi e finanza ad agricoltori di sesso femminile.
Tutta l’area GOGREEN si interrogherà su possibili sistemi di sviluppo da guardare con occhi nuovi: un’etica delle start-up (se vogliamo divertirci ad usare questa parola) che riguardi anche le possibilità di ritornare all’agricoltura come business sostenibile fondato sull’etica della rete, un sistema non accentratore ma diffuso, che metta in moto continuamente modalità di redistribuzione economica sul territorio e tra le comunità.
Fortunatamente il mondo, ma anche e soprattutto l’Italia, è pieno di segnali positivi che vengono dal basso e di tanta tantissima ricerca che non necessariamente si svolge nei laboratori accademici (spesso sponsorizzati dalle stesse multinazionali del food) ma che avviene sul campo (scusate il gioco di parole). Una ricerca che passa per le pratiche quotidiane di una moltitudine di hacker neo rurali (giovani imprenditori dell’agroalimentare) che quotidianamente ci suggeriscono alternative per creare prosperità su tutti i fronti: economia, ambiente, società.
IF2014 ospiterà e metterà insieme nell’area Go Green le esperienze più interessanti e radicali, internazionali ed italiane, dal mondo dell’innovazione e dell’hacking agroalimentare al fine di poter trovare insieme alla rete soluzioni efficaci per uscire dal fallimento del presente.
Il curatore
Alex Giordano
Foto da: Foodtank The Food Think Thank