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Urban Sensing, Open Data e Spazio Pubblico. Osservare in tempo reale la vita di una città

Innovation Ecology è un’opera complessa che ci parla di una nuova possibilità: un cambio profondo di paradigma che offre strumenti inediti per la governance, le policy, i modelli di business, lo sviluppo dei territori e delle città, l’evoluzione dello spazio pubblico.

Per comprendere meglio i diversi aspetti dell’opera e le sue implicazioni abbiamo intervistato gli autori, Salvatore Iaconesi e Oriana Persico di Art is Open Source.

IF: Urban Sensing è un termine che ricorre nella vostra ricerca sulla città: ci volete raccontare come è iniziata e cosa intendete con questo termine suggestivo?

La nostra ricerca sulla città esplora l’evoluzione dello spazio pubblico in senso ubiquo: una ricerca che attraversa l’arte, le scienze, lo sviluppo tecnologico, l’antropologia con l’obiettivo principale di osservare la trasformazione dei nostri modi di vivere, interagire e relazionarci mediati dalle tecnologie.

Tutto è iniziato a Città del Messico, nel 2008, partecipando al VII Congresso Panamericano sulla Rivitalizzazione dei Centri Storici con l’installazione, Rel:Attiva Presenza: eravamo gli unici non architetti del convegno, dimostrazione viva di quanto, nell’era digitale, le discipline abbiano bisogno l’una dell’altra, di ibridarsi in modo profondo. La ricerca in questi cinque anni si è evoluta in modo organico modificandosi insieme alle trasformazioni sociali e tecnologiche legate all’esplosione delle nostre vite sui social network e alla presenza sempre più pervasiva dispositivi ubiqui come gli smartphone. Social media, realtà aumentata, near field computing, location based media, ubiquitous publishing sono i principali sistemi che ci permettono, nella nostra quotidianità, di riempire lo spazio intorno a noi di contenuti e informazioni, determinando una interconnessione continua fra la dimensione fisica e quella digitale che genera una realtà ibrida in cui ci muoviamo percettivamente senza fratture.

Fra il 2010 e il 2011 una nuova opportunità è emersa da questo scenario: ascoltare, analizzare e visualizzare la vita in tempo reale delle città per come emerge dalle conversazioni delle persone sui social network. Abbiamo iniziato a indagare in modo sistematico un fenomeno particolare e interessantissimo: il modo in cui le nostre interazioni digitali stiano creando una nuova geografia informazionale (infoscape) che letteralmente si stratifica sul territorio, diventando accessibile. Sono spazi fatti di milioni di testi che possono essere letti, compresi, geolocalizzati, usati per comprendere i desideri, le visioni e gli atteggiamenti dei cittadini, aprendo nuovi spazi per il business, la pianificazione urbana, le politiche pubbliche e la coesione sociale: la nostra visione di Urban Sensing è collagata a questa possibilità.

Vi è in questo una analogia interessante con l’idea di Smart City. Si parla molto di edifici che diventano “intelligenti”, di sensori che permettono di analizzare l’aria, l’acqua, il consumo energetico: in questa visione l'”hardware” della società è l’aspetto predominante, lo sforzo e l’enfasi convogliati nell’infrastruttura fisica della città. La nostra idea di Urban Sensing sposta l’attenzione sul “software”, sull’infrastruttura immateriale della società: le relazioni e le interazioni. Una città intelligente è capace di sfruttare l’intelligenza socialmente prodotta da chi la abita: una Human Centered Smart City. In questa prospettiva, invece di mettere sensori sugli impianti idraulici, abbiamo deciso di metterli nello spazio creato delle nostre interazioni sociali. Sensori nuovi di tipo “linguistico”, capaci di reagire e intercettare gli stimoli e le attività che si svolgono nella nuova sfera pubblica digitale, e in particolare sui social network: piazze popolate da milioni di persone disseminate in tutto il globo.

Nascono così le due famiglie di progetti ConnectiCity e VersuS: Innovation Ecology fa parte di una nuova famiglia di progetti su cui abbiamo appena iniziato a lavorare: Human Ecosystems, gli Ecosistemi Umani. Con Human Ecosystems vogliamo fare uno step successivo fondamentale: restituire alla comunità l’enorme quantità di informazioni pubbliche che produciamo ogni giorno attraverso le nostre vite digitali. Una prospettiva che ci emoziona.

IF: Quali sono i passi principali in cui si struttura una sperimentazione del genere? Potete descriverceli?

Immaginate di poter ascoltare la vita in tempo reale di un’intera città, o di un qualsiasi territorio di vostro interesse, catturando e analizzando i flussi di comunicazione georeferenziata generati dalle persone su FB, TW, Instagra Google+ e i principali social network.

La nuova fase della nostra sperimentazione è partita proprio da qui. (1) Delimitare un territorio. (2) Raccogliere i dati in tempo reale sui maggiori social network, in 29 lingue diverse. L’analisi multi-linguistica è fondamentale, si pensi che in una città come Roma si parlano circa 18 lingue ogni giorno, mostrando e descrivendo flussi e città differenti: una ricchezza enorme. (3) Analizzarli usando tecniche di Natural Language Analysis, che permettono di ottenere risultati più avanzati rispetto all’analisi per parole chiave o hashtag, consentendo la comprensione del contesto linguistico, individuando lo stato emozionale e il tema trattato. (4) Usare una complessa tecnica di Network Analysis che permette di comprendere la geografia, la topografia umana e le relazioni che intercorrono all’interno dell’ecosistema. (5) Visualizzare i dati attraverso rappresentazioni infoestetiche rendendo l’informazione accessibile e usabile. (6) Infine, interrogarsi su come attivare processi e strategie che consentano l’uso e l’appropriazione dei dati da parte dei cittadini e della società civile. Si tratta di un meccanismo delicato in cui i dati fanno un passaggio di qualità trasformandosi in informazione, conoscenza e nella fase finale in consapevolezza (awarness).

Il punto 6 è centrale per Innovation Ecology e per tutta la prospettiva indagata in Human Ecosystems: i dati e le informazioni, semplici e aggregati, vengono rilasciati sotto forma di Open Data. Un nuovo commons digitale a disposizione di tutti gli attori dell’Ecosistema, pubblici e privati.

IF: Ecco, parliamo di questo: un commons digitale. In che senso?

Non siamo i soli a osservare le attività delle persone sui social network, è ovvio. Le nostre vite digitali sono oggetto di costante osservazione e analisi, in particolare i grandi operatori e i gestori delle piattaforme. Tutto ciò apre scenari, opportunità e ovviamente conflitti e tensioni: innanzitutto la continua ridefinizione di spazio pubblico e spazio privato, una zona caldissima – teniamo in questo a precisare che le nostre analisi si limitano esclusivamente ai messaggi di tipo pubblico (impostati, quindi come pubblici), nel rispetto delle scelte di privacy espressamente indicate dalle persone.

Il nostro contributo in questo scenario prende la forma di una restituzione su due livelli: la visualizzazione dei dati, che consente di rendere accessibili le informazioni agendo sulla percezione, e la sorgente diretta di Open Data.

In questo processo, il valore prodotto dalla possibilità di accedere alla conoscenza generata dall’analisi delle nostre vite digitali, ritorna alla sua dimensione pubblica, mettendo in luce un paradosso. Da un lato, le persone percepiscono e usano i social network come nuovi spazi pubblici, quando si tratta di spazi privati: per usare un’analogia con il mondo fisico, quando entriamo su Facebook siamo più dentro a un centro commerciale che a una piazza, con tutto quello che ne consegue. Questo scarto di percezione determina in larga misura la ricchezza e la quantità di dati che siamo inclini a produrre. Dall’altro, solo i grandi operatori e i gestori delle piattaforme beneficiano a oggi di questa possibilità e di questa conoscenza socialmente prodotta per dare forma alle loro strategie. Con questa operazione riportiamo alla sua dimensione collettiva i dati, le informazioni e la conoscenza che ne deriva, rendendoli disponibili a tutti, trasformati da bene appropriato privatamente (e accessibile a pochi) a bene comune: un nuovo commons digitale, appunto.
Sono processi racchiusi nello spostamento del confine fra spazio pubblico e spazio privato, in cui una linea di demarcazione del contemporaneo, di conflitti e opportunità presenti e future, su cui è necessario riflettere e creare consapevolezza.

IF: Come si iscrive in questo Innovation Ecology e cosa è: non abbiamo ancora parlato dell’opera…

Innovation Ecology si ispira al tema portante di Internet Festival 2013: trasformare il territorio in un “incubatore” emergente di innovazione.

Abbiamo utilizzato l’approccio e le tecnologie qui descritte applicandole all’osservazione e all’analisi dell’ecosistema dell’innovazione in Italia: chi parla di innovazione? Come si parla di innovazione? E dove? Quali gli approcci emozionali e le relazioni che emergono da questi dialoghi sul territorio nazionale?

Il risultato è un’installazione interattiva pensata come schermo urbano, divisa in tre infovisualizzazioni:

  • Space: una mappa mostra la geografia dell’ecosistema evidenziando scenari di particolare interesse, densità e intensità delle conversazioni;
  • Time: i tempi e i cicli dell’ecosistema. Su una timeline, le discussioni si espandono per mostrare le conversazioni e le relazioni nella loro evoluzione temporale.
  • Relations: le relazioni dell’ecosistema e i ruoli degli attori. Risposte e commenti creano connessioni, consentendoci di individuare connettori, amplificatori, hub, moderatori, influencer, possibili consensus maker.

I grafici si aggiornano in tempo reale, generando mappe informazionali in costante mutazione: il pubblico può accedere, navigare e scoprire questo nuovo paesaggio di dati, accedendo a forme di interazione e conoscenza inedita.

Per la 4 giorni del Festival, il pubblico, le start up, gli operatori dell’innovazione potranno navigare questo nuovo paesaggio, ritrovarsi, studiarsi, attivare nuove forme di conoscenza in un processo di auto-osservazione antropologica che è fondamentale. Allo stesso modo, rilasceremo i dati e le informazioni raccolti attraverso il sistema: una fonte di dati in continuo aggiornamento sull’Ecosistema Italiano dell’Innovazione. Non è poco, no?

Intanto godetevi in anteprima questo piccolo video tratto da “Relations”:

IF: Chiudiamo con due spunti. In due settimana l’Ecosistema in tempo reale dell’Innovazione italiana e l’Ecosistema della Cultura a Roma: dove volete arrivare?

Siamo sinceramente emozionati della sperimentazione che è partita a Roma. Il progetto si chiama EC(m1), acronimo di Ecosistema Cultura (Municipio 1). Il modello di piattaforma, di analisi e visualizzazione è sostanzialmente quello che abbiamo qui descritto per l’innovazione, applicato all’osservazione dell’ecosistema culturale della città.

La grande novità è nel processo: il progetto si sta sviluppando in sinergia con l’Assessorato al Turismo e alle Politiche Culturali del 1° Municipio, grazie all’incontro con Andrea Valeri, neo-eletto assessore che ha aperto le porte alla sperimentazione. Così, per la prima volta, l’approccio, le modalità e le tecnologie che abbiamo sviluppato stanno realmente interagendo con il “corpo” della città: e questo è fondamentale. Attualmente quasi 380 operatori sono già iscritti al gruppo Facebook dedicato al progetto, che è stato lanciato lo scorso 28 settembre presso la Casa delle Culture di Roma.

A breve ci saranno ulteriori incontri e workshop dedicati, con l’obiettivo di passare all’uso e all’appropriazione della piattaforma da parte di associazioni, operatori, singoli cittadini e amministrazione. Il tutto in un’ottica di co-evoluzione del progetto e della piattaforma e di discussione aperta e condivisa degli obiettivi e dell’impianto teorico e filosofico della prospettiva ecosistemica che proponiamo.

Stiamo procedendo speditamente, ma dietro questa velocità di azione c’è non solo un lavoro di 5 anni alla spalle, ma anche una precisa strategia maturata nella nostra recente esperienza statunitense con l’Eisenhower Fellowship. Fra marzo e maggio scorso siamo entrati in contatto con istituzioni, centri di ricerca e organizzazioni fra cui la Kauffman Foundation, il MIT, Harvard, l’Office for Science and Technology della Casa Bianca e da questi confronti un’idea è emersa come un landmark fondamentale: l’opportunità strategica di realizzare punti di osservazione antropologica su base cittadina e territoriale delle reti di innovazione, di relazioni e pattern di comportamento al fine di individuare ricette, rituali, errori, opportunità e impatti sulla società. Lo stesso vale per la cultura, l’ecologia e altri temi che si intende esplorare: il sistema, essendo basato principalmente sull’analisi linguistica, è completamente flessibile in questo.

Si delinea la possibilità di una nuova forma di “osservatorio ecosistemico” basato sullo studio e l’analisi dei network relazionali e delle topografie umane in cui comprendere i fenomeni analizzati nella loro complessità antropologica e attraverso strumenti totalmente inediti: per le policy, la governace, la creazione di nuovi modelli di business, di interazione e relazione – a partire dalla possibilità di osservare e posizionare se stessi nell’ecosistema. È quello che portiamo a IF con Innovation Ecology, ed è quello che è già in atto a Roma con EC(m1): due passi molto concreti verso la realizzazione di uno scenario su cui stiamo lavorando a livello internazionale nell’ottica di comparare territori, culture e contesti differenti, ma che poniamo prima di tutto all’Italia come opportunità. Siamo felici di lanciare questa sperimentazione in un laboratorio di innovazione importante come Internet Festival.

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